Momento critico

Publié le mercredi, 2 novembre 2011 à 20h20

Sul Concetto di volto nel figlio di Dio

Par Guido La Tartara

Sul Concetto di volto nel figlio di DioLa Socíetas Raffaello Sanzio di Cesena ha coprodotto con il Théâtre de la Ville di Paris, lo spettacolo “Sul concetto di volto nel figlio di Dio”.
La piece parla della gestione e dell’accudimento di un padre, ormai anziano, da parte di suo figlio, un uomo maturo che si vede costretto ad affrontare i disagi e le preoccupazioni del suo caso completamente da solo.

Anche se la trama potrebbe risultare di estrema attualità, lo spettacolo di Romeo Castellucci, risulta avere una debolezza caratteriale che gli sperimentali slanci registici solo in parte riescono a controbattere.

In un’ambientazione tersa e pregna di odori “gradevoli”, che inondano la sala prima della rappresentazione, vi sono particolari di notevole incongruenza scenica, come ad esempio l’attenta cura estetica del padre, che poi invece si rivelerà non autosufficiente ed incontinente. Queste condizioni inverosimili e poco aderenti, ad uno spaccato di realtà che si cerca di descrivere in maniera sovrabbondante, offrono il fianco di un testo che vuole solo far parlare di sé senza averne reali meriti.

Bisogna quindi ricordare che la pratica di stuzzicare il pubblico, con momenti teatrali poco condivisibili, è una parentesi che ha già dato i suoi frutti. Si pensi a Marinetti nel 1909 con la sua “La Donna è Mobile” uno spettacolo del tutto mediocre, che attraverso un piccolo stratagemma del suo Autore strappo alla critica 468 articoli, e regalo’ a Marinetti la notorietà che desiderava.

Nello spettacolo della Socíetas l’arrendevolezza del figlio, d’innanzi alle difficoltà di un accudimento sempre più difficoltoso, genera in lui uno stato d’animo turbolento ed agitato, è da qui che nascono i movimenti scenici –duramente contestati- ai danni del grande volto di Cristo (trasposizione grafica di un dipinto di Antonello da Messina), che presenzia la scenografia. Distrutta la gigantografia iconografica religiosa, vi è la scoperta e l’illuminazione dei caratteri grafici scenografati: You are (not) my shephered / Tu (non) sei il mio pastore.

Si potrebbe pensare, che la voglia di sorprendere il pubblico, o forse il desiderio anacronistico di scandalizzarlo, ha generato una serie di leggerezze drammaturgiche che difficilmente si possono “perdonare” ad uno spettacolo che gira in tutto il mondo.

In questa sede, vorrei comunque anche poter parlare non solo del regista Castellucci, bensí anche dell’uomo Romeo Castellucci. Uomo che ha visto, nelle dieci repliche parigine, più volte tentativi di aggressione contro la sua libertà di pensiero ed espressione.

Penso che sia legittimo non apprezzare un prodotto artistico, ma credo che mai e poi mai si possa attentare alla libertà degli individui. Purtroppo questa cosa è avvenuta -ed è accaduta solo nella capitale francese dall’inizio della tournée-. Ed è avvenuta, per mano di gruppi religiosi fondamentalisti, di matrice cristiana, che anche con fare violento hanno interrotto le rappresentazioni ed inveito sul pubblico dello spettacolo, in sala e fuori dal teatro.

Potremmo parlare a lungo sui dogmi, sui cardini religiosi e sugli errati usi-interpretazioni che di questi se ne fanno. Ma cio` offrirebbe, ancora una volta, visibilità mediatica all’ennesimo fenomeno che non la merita…